Vedere un nipote che fatica a trovare la sua strada negli studi o nel lavoro può generare nei nonni un profondo senso di impotenza. La distanza generazionale si fa sentire: i nonni hanno conosciuto un mondo in cui i percorsi professionali erano più stabili e lineari, con tassi di occupazione più alti per i laureati. Oggi tutto è cambiato. I giovani adulti si muovono in un contesto caratterizzato da precarietà diffusa, contratti a termine e difficoltà concrete di ingresso stabile nel mondo del lavoro.
La demotivazione che i nonni percepiscono nei nipoti raramente nasce da pigrizia o mancanza di ambizione. Secondo il Rapporto Giovani 2023 dell’Istituto Giuseppe Toniolo, oltre il 60% dei giovani italiani tra i 18 e i 34 anni dichiara di provare preoccupazione o ansia per il futuro lavorativo e di vita, con particolare enfasi sulla precarietà e sull’incertezza delle prospettive professionali. Questa generazione affronta pressioni elevate: aspettative familiari, confronto sociale amplificato dai social media e un mercato del lavoro percepito come saturo.
Decifrare i segnali oltre le apparenze
Prima di intervenire, i nonni dovrebbero imparare a distinguere tra demotivazione apparente e sofferenza reale. Un nipote che cambia facoltà, che prende tempo prima di scegliere un master o che alterna lavori diversi non sta necessariamente fallendo: sta esplorando. La psicologia dello sviluppo contemporanea riconosce questa fase come età adulta emergente, concetto introdotto da Jeffrey Jensen Arnett che descrive il periodo tra i 18 e i 29 anni come una fase di esplorazione identitaria, instabilità e ricerca di direzione.
Alcuni segnali meritano invece attenzione: ritiro sociale persistente, abbandono quasi totale delle attività quotidiane, cambiamenti importanti nel sonno o nell’alimentazione, linguaggio ricorrente di disperazione. Tali indicatori sono spesso associati a possibili disturbi depressivi o d’ansia. In questi casi, il sostegno dei nonni può fare la differenza, ma deve essere calibrato con estrema delicatezza e, quando necessario, accompagnato dall’invito a rivolgersi a professionisti della salute mentale.
L’arte del sostegno non invadente
Il primo passo è abbandonare il ruolo di risolutori di problemi. I nonni appartengono a una generazione in cui era valorizzata l’azione concreta e il consiglio diretto, tuttavia numerosi studi di psicologia umanistica e sistemica mostrano che i giovani adulti traggono maggiore beneficio da relazioni basate su ascolto empatico, validazione emotiva e sostegno non giudicante.
Creare spazi di ascolto autentico
Invece di chiedere “A che punto sei con l’università?” o “Hai mandato curricula?”, domande che suonano come interrogatori, i nonni possono costruire conversazioni più aperte: “Come ti senti in questo periodo?” oppure “Cosa ti passa per la testa quando pensi al futuro?”. Spostare il focus dai risultati alle emozioni favorisce una maggiore apertura da parte dei giovani.
L’ascolto efficace richiede di resistere alla tentazione di interrompere con soluzioni immediate. Nell’approccio centrato sulla persona di Carl Rogers, risposte che minimizzano o giudicano ostacolano l’espressione autentica e vengono spesso vissute come invalidanti, mentre la riflessione dei vissuti emotivi favorisce comprensione e auto-esplorazione. Studi sulla comunicazione intergenerazionale mostrano inoltre che riferimenti frequenti e prescrittivi al passato tendono a essere percepiti dai giovani come distanzianti e poco utili, soprattutto in contesti di rapido cambiamento sociale.
Sostegno pratico senza controllo
I nonni possono offrire forme di aiuto tangibile che alleggeriscano il carico senza creare dipendenza o senso di debito. Alcuni esempi concreti includono:
- Condividere esperienze di fallimento personale: raccontare momenti in cui anche loro hanno cambiato direzione, dubitato, sbagliato. La condivisione di fallimenti e difficoltà, quando autentica e non moralizzante, può normalizzare l’incertezza e ridurre il senso di isolamento.
- Offrire risorse senza condizioni: se possibile economicamente, contribuire alle spese formative o di vita quotidiana senza legare l’aiuto a performance specifiche. Il sostegno percepito come controllante indebolisce la motivazione autonoma, mentre il supporto incondizionato rafforza l’autostima.
- Mettere a disposizione la propria rete: i nonni hanno spesso contatti professionali accumulati in decenni. Offrire presentazioni o colloqui informativi valorizza il mentoring e l’esposizione esplorativa a contesti professionali.
- Creare routine condivise: una cena settimanale, una passeggiata regolare. Ritualità familiari stabili sono associate a maggiore benessere emotivo e senso di sicurezza nei giovani.
Rispettare i confini generazionali
Un errore frequente è bypassare i genitori del giovane, creando dinamiche familiari conflittuali. La letteratura sulla famiglia multigenerazionale evidenzia che alleanze trasversali tra nonni e nipoti contro i genitori possono aumentare la tensione e ridurre la coerenza educativa. I nonni dovrebbero dialogare con i figli adulti per allineare gli approcci, rispettando però il fatto che la responsabilità educativa primaria spetta a loro.

Frasi come “Posso esservi utile in qualche modo con Marco?” favoriscono una cooperazione percepita come di supporto e non intrusiva, in linea con le raccomandazioni dei modelli di coparenting allargato che includono nonni e altre figure significative.
Altrettanto importante è accettare che il nipote potrebbe rifiutare l’aiuto. Ricerche sui Millennials e sulla Generazione Z sottolineano una forte sensibilità alla percezione di controllo e giudizio nelle relazioni familiari, che può portare a chiusura o evitamento se l’aiuto è vissuto come invasivo. Se il nipote si chiude, i nonni possono lasciare la porta aperta: “Io ci sono se avrai bisogno, senza pressioni”.
Ridefinire il concetto di successo
Forse il contributo più prezioso che i nonni possono offrire è testimoniare che la realizzazione personale non coincide necessariamente con i parametri tradizionali. Studi sulla psicologia del benessere mostrano che la soddisfazione di vita è più legata alla coerenza tra scelte personali e valori interni che al solo status socioeconomico. Un nipote che impiega più anni a laurearsi ma scopre la propria vocazione, o che privilegia percorsi meno remunerativi ma più significativi per sé, non sta necessariamente fallendo: sta costruendo una traiettoria di vita più allineata ai propri valori.
I nonni, proprio per la loro prospettiva lunga sulla vita, possono trasmettere una forma di saggezza esistenziale, studiata nella psicologia dello sviluppo adulto come capacità di integrare successi e fallimenti lungo il corso di vita e di dare senso alle transizioni e alle crisi. Ricordare che i percorsi raramente sono lineari, che molte svolte positive seguono periodi di crisi, e che il valore di una persona non si esaurisce nel curriculum, aiuta a contrastare la riduzione dell’identità al solo ruolo lavorativo.
Questa validazione profonda, che trascende i risultati immediati, può diventare un’ancora emotiva per il giovane e favorire una motivazione più autonoma e interna, piuttosto che basata esclusivamente su richieste esterne.
Il ruolo dei nonni nella vita dei giovani adulti demotivati non è risolvere i loro problemi, ma essere presenze stabili, non giudicanti e affettive in un contesto sociale che spesso enfatizza la performance. La presenza solidale e non critica dei nonni può rappresentare un importante fattore protettivo per il benessere emotivo dei nipoti, soprattutto in fasi di transizione e crisi. A volte, semplicemente credere nel nipote quando lui non crede in se stesso è uno degli elementi relazionali che, nel tempo, possono contribuire a cambiamenti positivi più di molti consigli pratici.
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