Quando un figlio raggiunge l’età adulta, molti genitori si aspettano che abbia sviluppato una certa resilienza emotiva. Eppure, sempre più madri si trovano a confrontarsi con giovani adulti che reagiscono in modo sproporzionato alle difficoltà quotidiane: un esame andato male diventa una catastrofe esistenziale, un imprevisto lavorativo scatena crisi di rabbia o disperazione, una critica costruttiva viene vissuta come un attacco personale. Questo scenario genera un cortocircuito relazionale dove la madre oscilla tra il desiderio di proteggere e la consapevolezza che dovrebbe fare un passo indietro, mentre il figlio sembra intrappolato in una fragilità che non dovrebbe più appartenere alla sua età.
Perché i giovani adulti faticano a tollerare la frustrazione
La bassa tolleranza alla frustrazione nei giovani adulti non è un capriccio caratteriale, ma il risultato di un intreccio complesso di fattori. La generazione nata dopo il 1995 ha sperimentato un paradosso educativo: iperprotezione genitoriale da un lato, con genitori che intervengono per evitare fallimenti, e pressione performativa dall’altro, con aspettative altissime per successo accademico e sociale. Questi ragazzi sono stati spesso preservati dalle piccole sconfitte quotidiane, con adulti pronti a intervenire per spianare ogni ostacolo.
A questo si aggiunge l’impatto della cultura digitale: la gratificazione immediata dei social media ha ridotto la capacità di attendere, elaborare e metabolizzare gli insuccessi. Il cervello si abitua a ricompense rapide e costanti, rendendo più dolorosa la normale lentezza con cui si costruiscono risultati nella vita reale. Le applicazioni progettate per catturare l’attenzione alterano i circuiti della ricompensa, creando aspettative irrealistiche sulla velocità con cui dovremmo ottenere risultati.
Il ruolo invisibile della disregolazione emotiva
Quello che dall’esterno appare come un capriccio o un’esagerazione può essere in realtà una vera e propria disregolazione emotiva. Molti giovani adulti non hanno sviluppato adeguatamente quelle competenze che gli psicologi chiamano funzioni esecutive: la capacità di gestire emozioni intense, pianificare risposte adattive, tollerare il disagio temporaneo senza collassare. Lo sviluppo della corteccia prefrontale, area chiave per queste funzioni, continua fino ai 25 anni circa, mentre il sistema limbico emotivo matura prima, creando uno squilibrio che può persistere.
Non si tratta necessariamente di disturbi psicologici diagnosticabili, ma di una immaturità nelle strategie di coping che dovrebbe essere riconosciuta per quello che è: un ritardo nello sviluppo di abilità specifiche, non un difetto di carattere. Questa distinzione è fondamentale perché cambia radicalmente l’approccio che una madre può adottare.
La trappola del soccorso materno
Di fronte alle reazioni esplosive del figlio, la tentazione materna più naturale è intervenire: consolare, risolvere il problema, minimizzare l’accaduto o, all’opposto, arrabbiarsi per l’inadeguatezza della risposta. Entrambe le strade, però, alimentano il circolo vizioso.
Il soccorso immediato trasmette un messaggio implicito devastante: non sei capace di affrontare questo da solo, ho ragione a intervenire. La rabbia o la critica, invece, aggiungono vergogna a un sistema emotivo già sovraccarico, peggiorando la situazione. Il giovane adulto non impara a regolarsi, ma semplicemente a dipendere dall’intervento esterno o a sentirsi inadeguato.
Questa dinamica crea un accumulo di aspettative non soddisfatte, frustrazioni reciproche e senso di fallimento che inquina la relazione. Le risposte genitoriali, per quanto animate dalle migliori intenzioni, finiscono per amplificare le disregolazioni emotive invece di attenuarle.
Strategie concrete per spezzare il pattern
Validare senza salvare
La validazione emotiva è diversa dall’approvazione o dalla risoluzione del problema. Significa riconoscere l’emozione senza giudicarla: vedo che sei molto arrabbiato per questo contrattempo non equivale a dire hai ragione a reagire così. Questa distinzione permette al figlio di sentirsi compreso senza ricevere conferma che la sua reazione sia proporzionata. Le terapie centrate sulle emozioni hanno dimostrato come questo approccio migliori concretamente la regolazione emotiva nei giovani.

Introdurre la pausa strategica
Quando il giovane adulto è in piena tempesta emotiva, qualsiasi intervento razionale è inutile. Il sistema nervoso in stato di allerta non processa informazioni logiche. Una madre può invece dire: ti vedo molto scosso, prendiamoci venti minuti prima di parlarne. Questo insegna implicitamente che le emozioni intense sono temporanee e gestibili con il tempo, rispettando quella che viene definita finestra di tolleranza emotiva.
Spostare il focus dal problema alla risposta
Invece di concentrarsi su cosa è andato storto, la conversazione può orientarsi su domande come: come vorresti sentirti rispetto a questa situazione? e cosa potrebbe aiutarti ad arrivarci? Questo trasferisce gradualmente la responsabilità della regolazione emotiva dal genitore al figlio, dove deve risiedere in età adulta.
Modellare la tolleranza alla frustrazione
I giovani adulti imparano più da come i genitori gestiscono le proprie difficoltà che da qualsiasi predica. Una madre che verbalizza le proprie strategie di coping, dicendo ad esempio questo imprevisto mi infastidisce, ma so che domani lo vedrò con più chiarezza, offre un modello preziosissimo di regolazione emotiva. L’apprendimento osservazionale rimane uno degli strumenti più potenti a disposizione dei genitori.
Quando cercare supporto professionale
Esistono situazioni in cui le reazioni eccessive segnalano problematiche che richiedono un intervento specialistico. Se le esplosioni emotive compromettono stabilmente la vita lavorativa, relazionale o sociale del giovane adulto, se si accompagnano a comportamenti autolesivi o a un ritiro persistente dalle attività quotidiane, una valutazione psicologica diventa necessaria.
Un terapeuta specializzato in giovani adulti può lavorare specificamente sulle competenze di regolazione emotiva attraverso approcci come la Dialectical Behavior Therapy, particolarmente efficace per la disregolazione emotiva. Studi clinici hanno dimostrato riduzioni significative nei sintomi emotivi attraverso questo tipo di intervento strutturato.
Ricostruire il rapporto oltre il ruolo di soccorritrice
La sfida più profonda per una madre in questa situazione è ridefinire il proprio ruolo. Non più salvatrice o risolutrice di problemi, ma testimone affidabile del percorso di crescita del figlio, anche quando questo percorso include inciampi e cadute dolorose da osservare.
Questa trasformazione richiede un lavoro emotivo significativo: accettare che l’amore materno non si misura nella capacità di proteggere da ogni sofferenza, ma nel trasmettere fiducia nelle risorse del figlio. Significa tollerare la propria ansia mentre il figlio attraversa difficoltà, resistendo all’impulso di intervenire.
Il paradosso è che proprio questo passo indietro, vissuto spesso come abbandono, rappresenta il regalo più prezioso che una madre possa fare a un figlio giovane adulto: la possibilità di scoprire che può farcela, che le tempeste emotive passano, che gli errori non sono catastrofi irreversibili ma materiale grezzo per costruire competenza e sicurezza in se stesso.
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