Quando afferriamo una retina di aglio al supermercato, raramente ci soffermiamo a verificare un dettaglio che potrebbe fare la differenza tra un prodotto locale e uno importato: l’origine geografica. In Europa, per gli ortofrutticoli freschi è obbligatorio indicare il Paese di origine in etichetta, come previsto dal Regolamento UE n. 1169/2011 e dal Regolamento UE n. 543/2011 della Commissione. Questa informazione, che dovrebbe essere facilmente accessibile, rappresenta un elemento fondamentale per orientare le nostre scelte alimentari.
Il viaggio dell’aglio: dalla Cina alle nostre tavole
L’aglio in commercio nell’Unione Europea proviene da vari Paesi, inclusi Stati membri come Spagna, Italia e Francia, ma anche da Paesi terzi, in particolare la Cina, che secondo i dati FAO e COMTRADE ONU è tra i principali esportatori mondiali di aglio. Il problema non risiede nell’origine geografica in sé, quanto nelle modalità di produzione, conservazione e trasporto, che possono differire significativamente per normative fitosanitarie, residui di pesticidi e standard di sicurezza alimentare.
Secondo l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), gli alimenti importati nell’UE sono sottoposti a controlli rigorosi sui residui di pesticidi e devono rispettare i limiti massimi di residui stabiliti dal Regolamento CE n. 396/2005. Per mantenere il prodotto in buone condizioni durante viaggi lunghi, si utilizzano generalmente tecniche di stoccaggio a temperatura e umidità controllate, sistemi di ventilazione e talvolta trattamenti antifungini o fitosanitari conformi alla normativa europea.
Nel dibattito mediatico circolano spesso voci riguardo presunti agenti sbiancanti usati per rendere l’aglio più bianco. Tuttavia, è importante sottolineare che non esistono prove documentate di un uso sistematico di sbiancanti chimici sull’aglio destinato al mercato europeo, né segnalazioni strutturate in tal senso da parte dell’EFSA o del sistema di allerta rapido RASFF per alimenti e mangimi. Si tratta quindi di sospetti mediatici che vanno ridimensionati come tali, non come fatti accertati.
Diverso è il discorso per il bromuro di metile, un fumigante utilizzato in passato per il controllo di parassiti e per prevenire la germogliazione. Questa sostanza è stata progressivamente eliminata a livello internazionale nell’ambito del Protocollo di Montreal per la sua azione lesiva sull’ozono stratosferico. Nell’UE non è più autorizzata come fitosanitario, e l’EFSA ne ha sottolineato la tossicità per l’uomo, in particolare per il sistema nervoso centrale.
Perché l’etichettatura può risultare poco chiara
La normativa europea richiede che l’etichetta degli alimenti riporti il Paese di origine o luogo di provenienza in modo facilmente visibile, chiaramente leggibile e indelebile. Per l’ortofrutta fresca, compreso l’aglio, il regolamento di esecuzione specifica l’obbligo di indicare il Paese di origine sia per il prodotto preimballato sia per quello venduto sfuso, tramite cartellonistica.
Nella pratica quotidiana, tuttavia, indagini condotte da associazioni dei consumatori nazionali come Altroconsumo in Italia e UFC-Que Choisir in Francia hanno documentato casi di caratteri molto piccoli o poco contrastati per la dicitura sull’origine. Frequente è anche l’enfasi grafica su diciture come “confezionato in Italia”, mentre l’indicazione “Origine: Cina” o altri Paesi viene relegata in posizione secondaria e con caratteri meno evidenti.
Questi accorgimenti, pur restando spesso formalmente entro i limiti di legge, possono indurre confusione nel consumatore sulla reale origine del prodotto. Le autorità nazionali, come il Ministero della Salute e l’ICQRF in Italia, hanno più volte richiamato alla necessità di una corretta presentazione che non risulti ingannevole.

Le differenze tra aglio locale e importato
Le differenze organolettiche tra aglio prodotto in differenti aree dipendono principalmente da tre fattori: la cultivar (varietà botanica), le condizioni pedoclimatiche e le tecniche colturali e di conservazione. Studi agronomici sull’Aglio di Voghiera DOP e sull’Aglio Bianco Polesano DOP mostrano che i prodotti locali possono presentare caratteristiche distintive in termini di dimensione dei bulbi, colore delle tuniche e profilo aromatico, legate al terroir e alle pratiche tradizionali.
Alcuni aglio italiani ed europei, come le varietà rosate o viola, presentano tuniche esterne non perfettamente bianche, con sfumature rosate o violacee e bulbi di forma meno standardizzata. L’aglio di importazione, soprattutto quello proveniente da grandi filiere industriali, può presentare bulbi molto uniformi per calibro e forma, con tuniche bianche e radici rifilate, frutto di selezione varietale e standard commerciali.
È fondamentale precisare che non esistono, in letteratura scientifica, criteri morfologici univoci e assoluti per distinguere a colpo d’occhio l’origine geografica di un bulbo. L’idea che un aglio dall’aspetto molto bianco sia necessariamente trattato chimicamente non trova conferma sistematica negli studi pubblicati. È più corretto affermare che caratteristiche estremamente uniformi possono suggerire una filiera altamente industrializzata, non necessariamente irregolare. L’unico indicatore certo di origine resta l’etichetta.
Come difendersi: strategie pratiche al momento dell’acquisto
Alla luce delle norme e delle evidenze disponibili, esistono strategie concrete per orientarsi meglio nell’acquisto dell’aglio. La prima e più importante è leggere con attenzione l’etichetta, cercando la dicitura “Origine:” seguita dal nome del Paese. Se questa informazione è assente o poco leggibile su un prodotto dove dovrebbe esserci per legge, è opportuno non acquistarlo e segnalare la cosa al punto vendita o alle autorità competenti come ICQRF, NAS o ASL.
- Preferire quando possibile l’aglio sfuso nei banchi dove la cartellonistica indica chiaramente il Paese di origine
- Verificare le certificazioni: per il biologico, controllare la presenza del logo UE a forma di foglia verde e del codice dell’organismo di controllo
- Rivolgersi a mercati locali o direttamente ai produttori, dove è più facile ottenere informazioni sulla provenienza e sulle pratiche colturali
Il ruolo attivo del consumatore nel cambiamento
Numerosi studi di economia dei consumi e marketing alimentare dimostrano che la domanda di prodotti tracciabili, locali e biologici influenza concretamente le scelte delle catene distributive e delle aziende, spingendo verso maggiore trasparenza e segmentazione dell’offerta. La disponibilità a pagare un sovrapprezzo per prodotti con origine chiaramente indicata o certificazioni di qualità come DOP, IGP e BIO è associata a una crescita dell’offerta di tali prodotti sul mercato.
Comportamenti come documentarsi, confrontare etichette, porre domande al personale di vendita e non accontentarsi di risposte vaghe rientrano in quello che la letteratura definisce “consumer empowerment”: un fattore che può contribuire, nel tempo, a elevare gli standard informativi e qualitativi lungo la filiera agroalimentare.
La scelta di un semplice bulbo d’aglio, quando ripetuta da molti consumatori e orientata da informazioni corrette, diventa parte di un processo più ampio che riguarda la trasparenza del mercato alimentare, la tutela della salute pubblica attraverso il rispetto delle norme su residui e additivi, e il sostegno a modelli produttivi più in linea con le preferenze dei cittadini. Ogni acquisto consapevole contribuisce a costruire un sistema alimentare più trasparente, sicuro e rispettoso sia della salute dei consumatori che dell’ambiente.
Indice dei contenuti
