Quando un bambino in età prescolare o nei primi anni di scuola mostra una marcata preferenza per la compagnia degli adulti rispetto ai coetanei, è naturale che i nonni si interroghino su come aiutarlo. Quella che potrebbe sembrare semplice timidezza nasconde spesso dinamiche più complesse che meritano attenzione, ma senza allarmismi. La buona notizia è che i nonni possono giocare un ruolo straordinario nel sostenere il bambino in questo percorso di crescita sociale.
Comprendere la timidezza: temperamento o disagio?
Prima di tutto, è fondamentale distinguere tra temperamento introverso e vera difficoltà relazionale. Gli studi longitudinali di Jerome Kagan alla Harvard University hanno stimato che circa il 15-20% dei bambini presenta un temperamento definito “inibito comportamentalmente”, caratterizzato da cautela e ritiro di fronte a persone e situazioni nuove. Questo non rappresenta un problema da correggere, ma una caratteristica temperamentale che richiede rispetto e adattamento dell’ambiente.
Il campanello d’allarme suona quando la timidezza interferisce significativamente con il benessere del bambino: rifiuto marcato e persistente di partecipare ad attività generalmente piacevoli per i coetanei, sintomi fisici di ansia intensa come mal di pancia ricorrenti in prossimità di situazioni sociali, o regressioni comportamentali come pianto inconsolabile o attaccamento eccessivo in contesti sociali. In questi casi, il dialogo con i genitori e, se necessario, con un professionista dell’infanzia diventa prioritario.
Il superpotere dei nonni: tempo senza pressioni
I nonni possiedono una risorsa preziosa che spesso manca ai genitori impegnati tra lavoro e mille incombenze: il tempo disteso, privo di fretta. Il supporto dei nonni e di altri caregiver allargati è stato riconosciuto dalla ricerca come un fattore protettivo per lo sviluppo emotivo e sociale del bambino, grazie alla possibilità di interazioni di qualità e di contesti meno pressanti.
Questa dimensione temporale diversa permette di creare occasioni di socializzazione “morbide”, dove il bambino può avvicinarsi ai coetanei senza sentirsi forzato. Una strategia efficace consiste nell’organizzare attività parallele piuttosto che immediatamente interattive. Nei programmi di intervento per bambini timidi o con ansia sociale, viene spesso raccomandato di proporre attività condivise ma a basso grado di richiesta sociale diretta, come il gioco fianco a fianco, per favorire un contatto graduale con i pari.
Al parco, invece di spingere il nipote verso il gruppo di bambini che gioca a palla, si può proporre di costruire castelli di sabbia o raccogliere foglie. Spesso altri bambini si avvicinano incuriositi a queste attività più tranquille, permettendo un’interazione graduale e naturale. Questo approccio rispetta i tempi del bambino e trasforma la socializzazione in qualcosa di spontaneo anziché forzato.
Creare ponti relazionali attraverso interessi condivisi
Un approccio sottovalutato ma molto efficace consiste nell’identificare le passioni specifiche del bambino e usarle come “ponte sociale”. Gli studi sulle amicizie infantili mostrano che la condivisione di interessi e attività strutturate facilita la formazione di relazioni positive, soprattutto nei bambini più ritirati. Un nipotino affascinato dai dinosauri potrebbe frequentare un museo di scienze naturali dove incontrare altri piccoli appassionati. Chi ama disegnare potrebbe partecipare a laboratori creativi in biblioteca.
La differenza rispetto alle situazioni che generano ansia sta nella presenza di un focus comune che distoglie l’attenzione dalla performance sociale e riduce la pressione sul bambino, un principio su cui si basano molti interventi per bambini timidi e introversi. Molti bambini introversi, già dall’infanzia, tendono a preferire interazioni uno a uno o in piccoli gruppi, specialmente in contesti in cui c’è un interesse condiviso e strutturato.
Il modello del compagno di gioco competente
I nonni possono fungere da “modello sociale sicuro” partecipando attivamente al gioco con il nipote e altri bambini. Questo tipo di supporto rientra in ciò che in psicologia dello sviluppo viene definito scaffolding sociale: l’adulto sostiene inizialmente il bambino nelle competenze che da solo non padroneggia ancora e ne riduce gradualmente l’aiuto man mano che il bambino diventa più competente.
Nella pratica, questo può significare fornire frasi-ponte come: “Guarda, anche Marco sta costruendo una torre, forse potete metterle vicine?” oppure “Sara ha portato delle formine bellissime, che ne dici se le chiediamo di usarne una?”. Strategie di mediazione adulta simili sono utilizzate nei programmi di social skills training per facilitare le prime interazioni tra pari.

Progressivamente, il nonno può ridurre la propria presenza attiva rimanendo comunque visibile come “base sicura” a cui il bambino può tornare quando si sente sopraffatto. La teoria dell’attaccamento di John Bowlby sostiene che la presenza di figure di riferimento affidabili e sensibili alle esigenze del bambino consente a quest’ultimo di esplorare l’ambiente, anche sociale, con maggiore sicurezza. Studi successivi hanno mostrato che un attaccamento sicuro è associato a migliori competenze sociali con i pari.
Valorizzare i piccoli progressi senza etichettare
Un errore comune consiste nel definire ripetutamente il bambino come “timido” davanti a lui o ad altri. La ricerca suggerisce che le etichette ripetute possono contribuire a plasmare l’autopercezione del bambino e a rinforzare nel tempo i comportamenti associati all’etichetta stessa. Diversi autori raccomandano di evitare etichette rigide e stigmatizzanti e di descrivere invece i comportamenti in modo più neutro e funzionale.
Invece di dire “È molto timido, sa”, i nonni possono riformulare: “Preferisce osservare prima di partecipare, è uno che riflette”. In questo modo si riconosce il temperamento senza trasformarlo in un limite fisso.
Celebrare i micro-progressi risulta molto più efficace delle grandi aspettative. Approcci basati sul rinforzo positivo e sull’osservazione di piccoli passi in avanti sono alla base di molti programmi di supporto alle competenze sociali in infanzia. Ha salutato spontaneamente un bambino? Ha accettato di sedersi al tavolo delle attività anche se non ha partecipato? Questi piccoli passi meritano riconoscimento autentico, non enfatico: “Ho notato che oggi sei rimasto a guardare i bambini giocare più a lungo, ti stavi divertendo?”.
Evitare il confronto con fratelli o cugini
Ogni bambino possiede un ritmo evolutivo personale. La letteratura sullo sviluppo socio-emotivo sottolinea l’importanza di riconoscere le differenze individuali di temperamento e di evitare confronti svalutanti con fratelli o coetanei, perché questi possono indebolire l’autostima e contribuire a sentimenti di inadeguatezza.
Confrontare il nipote timido con fratelli estroversi o cugini socievoli mina la sua autostima e rafforza l’idea di non essere “abbastanza bravo”. I nonni attenti possono invece apprezzare le qualità uniche di ciascun nipote: la sensibilità , la capacità di osservazione, la profondità emotiva sono tratti che possono associarsi a buone competenze empatiche e di comprensione degli altri.
Quando coinvolgere i genitori nella riflessione
Il dialogo con i genitori deve avvenire con delicatezza, evitando toni allarmistici. Condividere osservazioni specifiche risulta più utile delle interpretazioni generiche: “Ho notato che al parco Luca sembrava voler giocare ma poi si fermava, cosa osservate voi a scuola?” apre uno scambio più costruttivo di frasi vaghe come “Luca è troppo timido”.
Le linee guida dell’American Academy of Pediatrics sui disturbi d’ansia e sui problemi emotivo-comportamentali indicano che una valutazione professionale diventa opportuna quando i comportamenti ansiosi o di ritiro sociale sono persistenti per almeno diversi mesi, si intensificano nel tempo o interferiscono in modo significativo con il funzionamento quotidiano del bambino, come nel caso di rifiuto costante della scuola, marcata sofferenza nelle situazioni con i pari o sintomi fisici ricorrenti.
I nonni possono suggerire gentilmente un confronto con il pediatra o con uno psicologo dell’età evolutiva, sottolineando che si tratta di un supporto per comprendere meglio il bambino e aiutarlo, non di un’urgenza né di un problema grave.
Il ruolo dei nonni li colloca in una posizione particolare: adulti affettuosi ma un po’ più distanziati emotivamente rispetto ai genitori, spesso in grado di offrire tempo di qualità , pazienza e prospettiva. La timidezza di oggi, se accolta con rispetto e sostenuta con strategie adeguate, può associarsi domani a qualità come riflessività , empatia e capacità di costruire relazioni autentiche e profonde. Un temperamento inibito, in un contesto di supporto sensibile, non è di per sé predittivo di esiti negativi ma può evolvere in traiettorie di adattamento positivo.
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